Il comportamento ‘menefreghista’ del legale in difetto rispetto agli obblighi formativi può contribuire determinare una sanzione particolarmente grave come la sospensione dall’esercizio della professione. Il Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 211 dell’11 novembre 2022 (resa nota in questi giorni), ha così respinto il ricorso di un avvocato sospeso per due mesi perché non in regola con tre bienni formativi “avuto riguardo oltre che al fatto storico nella sua materialità altresì al comportamento complessivo tenuto dall’incolpato, anche nel corso del procedimento disciplinare”.
A seguito della segnalazione del mancato raggiungimento del numero minimo di crediti formativi previsti per il triennio 2014-2016, nello specifico zero su quarantacinque, il Coa di Genova trasmetteva gli atti al CDD della Liguria, che apriva un procedimento disciplinare”per non aver, in violazione dell’art. 15 Codice Deontologico Forense (dovere diaggiornamento professionale), in relazione all’art. 25 c. 10 regolamento CNF n. 6/14(formazione continua), nel triennio formativo 2014-2016, raggiunto il numero minimo di crediti previsto pari a 45 unità“.
L’incolpato, regolarmente avvisato “non svolgeva alcuna attività difensiva, rimanendo così contumace ed indifferente rispetto al procedimento”.
Non solo, nel corso del procedimento emergeva che egli non aveva raggiunto gli obblighi formativi neanche nei trienni 2008/2010 e 2011/2013. Né era pervenuta alcuna richiesta di esonero. A questo punto il CDD riteneva che l’avvocato avesse tenuto una “condotta di apatia ed indifferenza verso la formazione”. E così, anche alla luce del “comportamento complessivo tenuto dall’incolpato anche nel procedimento disciplinare”, l’esistenza di precedenti disciplinari e, infine, “l’impossibilità di ravvisare pentimento o riconoscimento della propria responsabilità”, gli irrogava la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per due mesi.
Proposto ricorso, il legale lamentava l’eccessività della sanzione chiedendo di essere sottoposto alla diversa misura della censura.
Il Cnf per prima cosa ricorda come la sanzione sia conseguenza di una complessiva valutazione dei fatti che riguarda, a titolo esemplificativo, la gravità dei comportamenti contestati, il grado della colpa o l’eventuale sussistenza del dolo e la sua intensità, nonché il comportamento dell’incolpato precedente e successivo al fatto e la condotta processuale. E che il CDD della Liguria ha applicato tali criteri “non rispondendo al vero l’affermazione difensiva per cui unica circostanza valutata siano stati i ‘precedenti’ analoghi del ricorrente, atteso che l’Organo disciplinare, nella determinazione della sanzione, ha avuto riguardo oltre che al fatto storico nella sua materialità altresì al comportamento complessivo tenuto dall’incolpato, anche nel corso del procedimento disciplinare”.
Il Collegio ricorda poi che l’avvocato deve curare costantemente la preparazione professionale, “conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori di specializzazione e a quelli di attività prevalente”. In particolare, il dovere di competenza di cui all’art. 14 CDF – che costituisce il presupposto dell’obbligo di aggiornamento professionale previsto dall’art. 15 CDF – ha la finalità di “garantire la parte assistita che l’accettazione dell’incarico da parte dell’avvocato implicitamente racchiuda il possesso di quella preparazione professionale acquisita, appunto, con la regolare frequenza delle attività di aggiornamento”. La norma deontologica, conclude il Consiglio, “è pertanto posta a tutela della collettività, e non già del prestigio della professione, in quanto garantisce la qualità e la competenza dell’iscritto all’albo ai fini del concorso degli avvocati al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale”.